Cos’è il fascismo oggi ?

Ultimamente si è tornati a parlare con veemenza di un pericoloso ritorno del fascismo. Critico questo sensazionalismo zelante e provo a rispondere alla domanda : cosa può ben indicare il termine “fascismo” oggi? La risposta è un clima di crescente paura e sospetto tra le persone, derivato certamente dalla “fabbrica della paura” mediatica ma ancor di più dal liberalismo estremo che suggerisce a ognuno di rinchiudersi in un sacro e fragile guscio di cristallo. Un diffondersi di narrazioni che invitano al controllo, alla diffidenza, al timore, fabbricando così incertezza e mettendo sotto scacco un prezioso patrimonio culturale di interazioni genuine tra la gente.

di Andrea Comin


 

Quant’è profondo fermarsi a scambiare qualche battuta con un anziano su un tram o con un passante aspettando di attraversare; attaccare bottone con sconosciuti in una serata; scambiarsi uno sguardo complice col vicino di turno e obliterare il biglietto per qualcuno sul bus quando la troppa folla gli impedisce di raggiungere la macchinetta. La nostra vita è piena di semplici interazioni casuali senza causa né scopo altro che quello di trovare fratellanza il tempo di un attimo, celebrando la complicità in un’estetica comune. Queste interazioni sono considerate dagli stranieri un gioiello culturale tipico delle società latine e mediterranee. Improvvisare una fuggente chiacchera o trovare un aiuto cordiale in caso di bisogno, o ancora quel sorriso inaspettato, significano principalmente, e antropologicamente, una cosa: “tu esisti”. Atavico, questo è un patrimonio di abitudini, riflessi, costrutti linguistici immenso la cui importanza dal punto di vista sociale è spesso trascurata dalle élite istruite.[1] Osservandomi intorno mi sembra che questo patrimonio culturale sia messo sotto scacco dalla crescita progressiva di un clima diffuso di indifferenza, praticata in maniera quasi dogmatica al meglio, e al peggio di sospettosa ostilità che si tramuta poi naturalmente in aggressività.

Ultimamente si è tornati a parlare di fascismo, di “onda nera”. Sono sempre stato diffidente verso l’utilizzo allargato e facilone che viene fatto di questo termine da ormai decenni e dunque, mi chiedo: cosa può indicare oggi “fascismo”? Si possono intraprendere due strade. La prima, provando a dare una definizione sostanziale di fascismo, cioè una definizione che si interessi al “cos’è”. Possiamo dire che il fascismo nella sua incarnazione storica è un regime politico autoritario e antiliberale, con valori legati alla gerarchia, alla patria, al sacrificio, alla tradizione, al dominio della forza. Seguendo l’altra via invece proviamo a dare una definizione procedurale che si interessi al “come”. Allora possiamo dire che il fascismo è una modalità della politica basata sulla sopraffazione, l’intimorimento, la chiusura al dialogo e il silenziamento dell’antagonista.

Se allora adottiamo la prima categoria, mi sembra evidente che il fascismo non sia altro che una mummia, un relitto storico pietrificato dall’affermazione del capitalismo liberale in ogni ambito della nostra vita (politico, sociale, culturale, assiologico, cognitivo). Già sostenuta da Pasolini negli anni settanta quest’analisi mi pare oggi ancora più realistica vista la lucidità con cui egli aveva intravisto la forma mentis che la società dei consumi imprimeva sulle persone e capì con grande anticipo la forma politica che appena si accennava in quegli anni, intuendone la tendenza allora ancora latente:

Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per procurarsi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più […] È, insomma, un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo. […] Io credo, lo credo profondamente, che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato “la società dei consumi”. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. Ed invece no. [2]

Oggi che nella Storia siamo più a valle il ruscello del consumismo è diventato un fiume e ha portato con sé sempre più contenuti della vita. Lo sostengo con forza: non mi sembra affatto concepibile oggi un ritorno del fascismo tanto sono avvenuti, con prepotenza storica, il primato dell’individualismo edonista sulla coscienza di gruppo, la sostituzione dei rigidi valori tradizionali con valori consumistici e revocabili, la demolizione metodica delle eredità del passato in nome di un progresso astratto, la messa a bando –  almeno nello spazio socio-politico – delle religioni e soprattutto dei valori che esse veicolavano di sacrificio, pudore, carità e perdono.

Siamo all’opposto del fascismo. Esso prevede sottomissione e sacrificio dell’individuo al gruppo, famiglia o patria, osservanza di valori imposti dall’alto, margini stretti per il libero arbitrio. Al contrario il liberalismo (nella versione contemporanea)[3] veicola l’idea di libertà illimitata, anche se ridotta esclusivamente al solo individuo  ̶  la libertà viene intesa solamente come affrancamento da tutto ciò che eccede tale individuo annientando di conseguenza la possibilità, a termine, di un qualsiasi primato della Legge sul libero arbitrio individuale:[4] all’opposto del fascismo.

Mi chiedo allora contro cosa combattano gli antifascisti di oggi e se credono davvero che esista la minaccia di un ritorno del fascismo come la nostra storia lo ha visto configurarsi. La trovo una credenza ingenua. Definire il fascismo come un regime che sarebbe minacciosamente di ritorno è mistificatorio anche perché il fascismo non è una dottrina politica: non regge su nessuna concezione dei rapporti individuo/società e non ha mai formulato alcuna teoria del politico, oltre che nessuna etica propria. Mentre il conservatismo e il tradizionalismo, cui il fascismo certamente si ispirò, sono delle dottrine politiche ricche di un lignaggio filosofico, di autori, di concezioni dell’individuo e della società e di conseguenza contengono anche una teoria etica, il fascismo invece no. Tutt’al più si è mostrato tributario delle tendenze politiche già esistenti e dominanti negli anni in cui è sorto e che ha saputo sfruttare tatticamente: il potere ancora pervasivo della Chiesa sulle masse contadine, l’ideologia bellicosa, coloniale e patriottistica del diciannovesimo, il culto del superuomo associato, il futurismo, l’ingegneria sociale e razziale. Credere che tutto questo sia oggi in procinto di tornare è o assurdo o di mala fede: infatti quale individuo oggi sarebbe pronto a sacrificare un minimo del suo comfort, della libertà di consumare, della libertà di adottare e sbarazzarsi di valori, persone e merci, in nome di un ormai vieto senso di autodisciplina, di costrizione, o più assurdo ancora giocarsi la vita in nome di valori supremi, della Patria, dell’Europa? Quei pochi energumeni che si autoproclamano fascisti sono caricature di un passato che non potrà tornare e inoltre l’omologazione fascista del mondo ha ben poco da offrire rispetto all’omologazione globalista e consumistica.

È dunque chiaro che una definizione statica del fascismo, così assoggettata a un ontologismo che la confina in una cornice storico-politica tanto esigua, non risulti adatta a parlare di fascismo oggi. Mi giro allora naturalmente verso la seconda definizione di fascismo che a me sembra più plausibile. Ovvero il fascismo come metodo di azione politica che riposa principalmente sull’uso della costrizione, della violenza, della sopraffazione, dell’oppressione. In questo senso di pratiche politiche fasciste se ne osservano parecchie, anche da parte di molti sedicenti antifascisti; ci rientrano appieno le tecniche di repressione poliziesca che osserviamo da decenni in occidente e proprio ultimamente, in maniera più feroce che mai, in Francia contro i gilet gialli. Se vogliamo che la democrazia costituisca il nostro orizzonte politico e crediamo nella tolleranza liberale come suo corollario occorrerà allora interrogarsi anche su quanto accaduto al Salone del Libro 2019 di Torino con la censura di una casa editrice che, per quanto il direttore si sia espresso apertamente a favore del fascismo, ciò comunque non esaurisce logicamente ogni discussione sulla legittimità dell’editore ad avere un suo stand, almeno nei termini della democrazia liberale ove la libertà di pensiero, anche se antidemocratico, è valore fondante. Mettere semplicemente a tacere il nemico è infatti una pratica politica del tutto fascista. Ma non intendo soffermarmi su questo fatto e nemmeno sulle pratiche repressive fasciste. Il mio proposito è invece di sviluppare a fondo la proposta di definire il fascismo come modalità di esercizio del potere perché in questo senso il termine potrebbe trovare una nuova giovinezza a descrivere un fenomeno invisibile che sta disgregando le nostre società dall’interno. E sarà un invito a riflettere a coloro che si cimentano, con ostentata ossessione, a usare questo termine a vanvera, in qualsiasi salsa e in qualsiasi contesto, abusivamente e con zelo compiacente.

Associo il fascismo alla crescita di un clima di tensione di paura in seno alla società. La diffusione di questa tendenza mi sembra palpabile quotidianamente. Certo una parte consistente è emanata dalla politica e istigata dai media: per esempio la questione dei migranti o la paura dell’Islam sono prodotti vistosamente mediatici della fabbrica della paura. I migranti sono un bersaglio politico facile per gli imprenditori politici della paura ma in fin dei conti, anche per coloro che credono in questa inesatta narrazione del fenomeno migratorio, questa paura è solo formale: è istigata dall’alto, strumentalmente. Difatti chi odia i migranti generalmente non ne ha mai frequentati e vive in zone in cui se ne vedono pochi. La parte più grossa di questo nuovo fascismo è meno visibile, più pervasiva, penetra in maniera capillare nella complicità delle relazioni umane faccia a faccia, nelle piccole interazioni quotidiane, nei gesti delle persone e nelle espressioni del viso, nel modo di camminare e nella maniera studiata con cui abbiamo imparato a essere indifferenti. Mentre il vecchio fascismo, come diceva Pasolini, non aveva per nulla scalfito l’animo degli italiani, il loro stile di vita e il loro modo di pensare, questo nuovo fascismo invece è insidioso, invisibile e dunque ben più potente.

Io credo che il vero fascismo oggi sia una forma di potere pervasiva e corporea che allontana le persone, le rende diffidenti le une alle altre e ostili, intimorite, paurose.[5] È quella forma di potere che si infiltra in ogni interstizio delle relazioni sociali e che ci ha rinchiusi in un fragile guscio di cristallo, rendendoci ipersensibili a tutto ciò che potrebbe urtare la nostra sacrosanta sensibilità[6] ma finisce in realtà per renderci chiusi su di noi e intolleranti verso tutti e tutto. E questo fascismo è una forma di governo del liberalismo sfrenato: il liberalismo allargato a tutto e a tutti i costi. Esso promette difatti all’individuo l’emancipazione da ogni interferenza esterna, cioè di natura esogena, invitandolo a identificare la propria libertà con il respingimento di ogni vincolo esterno che gli incombe, portando in definitiva a concepire l’altrui come il naturale, automatico nemico della propria libertà: altrui è per forza di cose esistente e per questo semplice fatto diventa ingombrante.[7] Se oggi c’è un fascismo credo sia questo. È il clima diffuso di sospetto, incertezza, insicurezza che sabota le relazioni sociali alla base: le ricopre a priori del manto velenoso della diffidenza nel migliore dei casi e nel peggiore, della paranoia generalizzata. Che alla fine sfociano, effettivamente, nell’aggressività.

Per fare qualche esempio, noto sempre più spesso per strada, nei bar, nelle stazioni, sui mezzi pubblici e in tutti in luoghi dove s’incontrano le persone dei riflessi difensivi se non aggressivi tra sconosciuti. Allo stesso modo, è diventato corrente vedere genitori che non lasciano mai soli i figli perché “ci sono gli stupratori”. Idem per gli immigrati, i crimini e le aggressioni. Ma i numeri dell’Istat raccontano una storia diversa, cioè che omicidi, aggressioni, violenze sessuali e furti sono in costante diminuzione. Ovviamente i social non aiutano, con il loro potere di risonanza e di mistificazione, ma sarebbe troppo facile attribuir loro la colpa  – essi sono uno strumento. Inoltre, congiuntamente alla liberalizzazione dei costumi sessuali avviene in realtà un allontanamento dei generi materializzato in un crescente timore nei rapporti tra maschile e femminile.[8] Complice una narrazione per cui il genere maschile è sinonimo di cultura del sopruso, viene supposta l’intenzione maligna e si instaura quindi un riflesso di sospetto nei confronti del maschio/maschile, spesso con parvenze di zelo militante. Dal canto suo il maschio moderno ha sempre più paura delle donne, probabilmente perché internalizza quest’informazione come un senso di colpa.

Ma tutto questo è giustificato da un reale aumento dei crimini degli immigrati, delle aggressioni per strada, della sopraffazione degli uomini sulle donne e delle fregature in ogni salsa, oppure tutto questo è un clima costrittivo dovuto al supporre negli altri la mala intenzione e finisce dunque per creare, effettivamente, l’idea del homo homini lupus, cioè l’uomo è un lupo per l’uomo? A questo punto, il presupposto “stato di natura” di Hobbes, bellum omnium contra omnes, ovvero la guerra di tutti contro tutti, ha ben poco di naturale ma si dimostrerebbe essere piuttosto un costrutto puramente umano: la conseguenza di una rappresentazione quasi paranoica del mondo. Il sospetto continuo che l’altro mi sia ostile, mi voglia derubare di qualcosa, voglia attuare il suo interesse contro il mio, timore diffuso fin nei più intimi spazi dove potrebbe fiorire l’interazione: questo è il fascismo di oggi. Il quale, lo ripeto, è la forma pratica, percepibile, avanzata del liberalismo e non un suo opposto come potrebbe sembrare. La cultura della sicurezza è il pendant del liberalismo: in questo regime, nessun allargamento degli margini di libertà individuali senza sviluppo della paura e del culto della sicurezza.[9] Ecco un grosso limite del nuovo mondo liberale: il rinchiudimento degli uomini in un fragile e angusto guscio di cristallo.

Ed è proprio definibile come fascismo perché corrisponde a una forma di potere autoritaria basata sul timore; non c’è infatti cittadino più malleabile e asservito del cittadino a cui è stato insegnato ad aver paura. In particolare, gli individui che ripudiano la solidarietà e la cooperazione causa diffidenza reciproca saranno tanto più inclini a cooperare ma solo nell’ambito formale dei contratti di diritto privato. Ecco perché questo fascismo è una forma di potere politico, che tuttavia non riposa più sulla costrizione diretta come all’epoca, ma su una forma più subdola e intima di potere.[10] Ma faccio una nota importante. Non credo affatto che questa forma di potere venga in toto istigata dall’alto e che si possa perciò darne la colpa diretta ai potenti, ai politici o ai media, insomma a chi occupa i vertici. In realtà ciò che viene istigato dall’alto, come il vecchio fascismo, ha per forza di cose poca presa sulla realtà perché è rigido, forzato, troppo alieno per essere penetrante. Invece questo nuovo fascismo riesce a diventare onnipresente pur essendo invisibile. Questo perché è continuamente originato all’interno del corpo sociale, oltre che dalla politica e dai media. Ne sono partecipi le narrazioni sensazionalistiche sulla prevenzione, sul bullismo, sulla violenza di genere, l’accanimento per la protezione, la salute, l’integrità fisica; l’approccio psicologizzante alle relazioni umane, il fatalismo; tutte queste narrazioni, per come sono impostate oggi, creano la tendenza alla paranoia e alla nevrosi generalizzata. Il dannoso corollario è l’eclosione, anche in sede giudiziale, di una tendenza al vittimismo facile che rischia di fragilizzare la ricerca del limite tra tollerabile e intollerabile, tra normale e anormale,[11] che costituisce poi la base del contratto sociale, la quale rischia di essere naufragata in un incerto sentimento di ostilità generalizzata.

Il mondo sottinteso a questo nuovo fascismo è un mondo in cui ognuno ha imparato a diffidare del prossimo ma gli concederà magari il dialogo solo se incanalato in strutture formali e certe; un mondo che rinuncia al patrimonio culturale delle interazioni basiche e casuali per preferirgli l’indifferenza e la sicurezza; un mondo dove nessuno si guarda più negli occhi e nessuno esiste più per nessun altro. Questo è il mondo fluido e solitario dove diventa rischioso accennare parola a sconosciuti, ma anche dove in pubblico una signora può essere scippata e un uomo picchiato nell’apatia generalizzata. È purtroppo un mondo che avvera l’idea per cui l’uomo è un lupo per l’uomo e si dota di controllo di massa, telecamere e tribunali. Questo è fascismo, oggi. È un mondo che ci chiede di vedere il male ovunque e finisce per fabbricarlo volendo premunirsene.[12]

Chi oggi lotta contro il fascismo in difesa della nostra Costituzione si dà un compito nobile, ma credo dovrebbe indirizzare le lotte verso ideologie politiche dalle parvenze più moderate e globaliste rispetto ai quattro gatti neofascisti che montano stand per cercare di farsi notare. Per tutti gli altri antifascisti di comodo, se si guardassero più attentamente dentro casa potrebbero scoprire che il fascismo tanto invocato è chiuso in un sarcofago ormai sigillato, forma politica impensabile nella società postmoderna ed edonistica tutta centrata sull’ego individuale, mentre proprio in questa risiede un nuovo fascismo di cui essi forse non sanno di essere gli ordinari ambasciatori. Insomma, se tornassimo a parlarci staremmo tutti meglio.

 


[1] Una forma di « decenza comune » orwelliana che appartiene alla gente comune e si distingue dai formalismi di rango.

[2] P.P Pasolini, Scritti corsari,  Garzanti, 1977.

[3] Non uso volontariamente il termine neoliberalismo per distinzione. Neoliberalismo indica più precisamente un metodo di governo che fonde il politico nell’economico e origina il potere in due istituzioni fondamentali, il mercato e la scelta razionale. Nel presente articolo mi riferisco a un’accezione più politico-culturale del liberalismo.

[4] Comunque la Legge venga intesa: sia come dogma religioso che come ordine sociale o ancora come metodo scientifico, quest’ultimo infatti oggi seriamente minacciato da forme di relativismo spinto. Si veda R. Garcia, Le désert de la critique : déconstruction et politique, L’Echappée 2015, Alain de Benoist, Controle le libéralisme, Editions du Rocher, e la prolifica opera di J-C. Michéa.

[5] Una trattazione interessante che traccia necessari parallelismi con il liberismo economico è Michela Marzano, Avere fiducia. Perché è necessario credere negli altri, Mondadori, 2014.

[6] La concezione sempre più intimistica e difensiva della proprietà privata è analizzabile nel quadro della biopolitica del capitalismo.

[7] Trallaltro si può costruire un’interessante genealogia del liberalismo definendolo come un progetto politico volto a ridurre le inevitabili frizioni di ogni tipo che esistono tra individui liberi e atomizzati, per sostituirle con l’arbitraggio automatico del diritto. La concezione idealistica è quella del mondo fluido (traslazione alla società della liquidità dei mercati). Tendenza tra le più recenti, ho discusso della contrattualizzazione dell’intimità emotiva e sessuale in un precedente articolo (in francese).

[8] In merito si veda il bel libro di Nadia Fusini, Una fratellanza inquieta. Donne e uomini di oggi, Donzelli, 2018.

[9] M. Foucault, Nascita della biopolitica, Feltrinelli, 2005. Questa proposta meriterebbe uno sviluppo a sé tanto è su questo punto, credo, che il liberalismo incontra la sua contraddizione più forte. Se da un lato promuove attivamente (cioé con mezzi giuridici e culturali) maggiori libertà e tutele per l’individuo, dall’altro aumentano inevitabilmente le frizioni latenti tra individui e dunque cresce il sospetto di essere lesi, la ricerca del vantaggio proprio e perciò anche il ricorso all’arbitraggio del diritto in nuovi campi da cui esso era finora assente.

[10] Un potere di stampo biopolitico, si veda l’abbondante letteratura in merito.

[11] A-C Robert, La justice transfigurée par les victimes, in Le Monde Diplomatique, 03/2019

[12] Infatti Pasolini scrive “Ecco perché c’è in giro un maggior odio, un maggiore scandalo, una minore capacità di perdonare… Soltanto che questo odio si dirige, in certi casi in buonafede e in altri in perfetta malafede, sul bersaglio sbagliato, sui fascisti archeologici invece che sul potere reale.” Op. cit.

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